A Zeus la cadmeia Semele generò un figlio illustre, unitasi a lui in amore, Dioniso ricco di gioia, lei mortale un figlio immortale, e ora ambedue sono dei. (Esiodo Teogonia, 940-42)
Finalità del presente lavoro non è quella di tracciare un parallelismo fra il Mito di Dioniso e la figura del Cristo, opera in cui altri si sono cimentati con scarsi risultati, bensì quella di individuare nella tragedia dello strazio subito dal corpo del Dio Fanciullo figlio di Zeus, quel fulcro operativo "occulto" chiamato Pasto Sacro, espressione con cui vogliamo intendere quel particolare sacrificio sacerdotale, attraverso cui il Divino discende e diviene cosa unica con l'operatore del sacrificio, e i convitati a tale opera.
E', il pasto sacro, un cardine della tradizione misterica ed iniziatica presente in ogni tradizione religiosa ed esoterica; ne possiamo trovare traccia anche nelle culture sciamaniche e tribali, a suggerire (indicare) di un patrimonio diffuso nella memoria magica dell'umanità L'evidenza che anche nella Tradizione Cristiana (gnostica, come cattolica, come protestante), tale apparato rituale sia presente e centrale nella liturgia (che in esso trova significato e finalizzazione) ne testimonia l'indispensabilità ai fini del Sacro Operare, e ne suggerisce l'enorme impatto magico.
Io so intonare il bel canto di Dioniso Signore, il ditirambo, quando nell'animo sono folgorato dal vino. (frammento di Archiloco 120 W.)
Si potrebbe osservare come i baccanali dionisiaci siano ben distanti dalla liturgia cristiana; ma tale constatazione indica come il pasto sacro è cuore e nodo di un incrocio, che lega il Mito, il Divino, l'Uomo, e il sentiero scelto (umido e secco) a testimonianza del fatto che non vi è differenza nell'operatività, pur sempre strumentale, ma nella volontà dell'Operatore, e delle forze che intervengono al suo richiamo.
Molti Greci rappresentano Dioniso in forma di toro, e in Elide in particolare le donne invocano il dio pregandolo di venire a loro ‘con piede taurino’. Gli Argivi poi danno a Dioniso l’epiteto di ‘figlio di toro’ e lo chiamano con le trombe perché risorga dalle acque. (Plutarco Iside e Osiride, 35)
INTRODUZIONE AL VALORE DEL SIMBOLO DEL SACRIFICIO E AL MITO DI DIONISO
Molte antiche tradizioni custodiscono nel proprio patrimonio ancestrale il simbolo della divinità sacrificata in modo cruento in favore di un'umanità pronta a raccogliere i benefici di tale divina morte. Questo sacrificio conscio, ma spesso inconscio o subito, si esprime in un atto d'amore verso gli uomini, oppure segna il momento della nascita dell'umanità stessa. Forte è il rimando a tutta una serie di rituali di fertilità, dove il sangue del Re, o di un uomo che incarnava lo spirito divino veniva offerto alle forze della natura (del quaternario), onde ristabilire il ciclo vitale. Da una prima lettura del mito del sacrificio del Dio si potrebbe evincere un rapporto compassionevole del divino verso l'uomo, un legame affettivo che si spinge fino a tragiche ed estreme conseguenze: la vita in cambio della vita, o di una nuova vita. Questi miti altro non rappresenterebbero, in tale ottica, che il simbolo del cuore sofferente del divino, sempre e comunque proteso verso le sue creature predilette. Se tale interpretazione può avere un qualche senso all'interno di un paradigma cristiano-cattolico, è sicuramente assente all'interno di altre teogonie dove la morte del Dio è aspetto suo proprio, individuale, avulso da altre considerazioni.
Il mito di Dioniso, e l'insieme rituale iniziatico che dallo stesso emerge, trova collocazione nell'Orfismo, e cioè nella complessa teogonia e cerimonialità misterica, che vanta altrettanto mitico fondatore in Orfeo. Il quale, indubbiamente, rappresenta l'iniziato e l'adepto per antonomasia: Colui che giunge in Egitto per essere edotto ai suoi antichi misteri, che scende all'inferno alla ricerca dell'amata (la Sophia), che da vita ai culti e ai misteri, il devoto ad Apollo che viene ucciso e smembrato dalle baccanti (le donne della Tracia) fedeli a Dioniso. Una fine violenta che sembra essere speculare a quella di Dioniso, quasi ad evidenziare un processo ineluttabile che attende ogni vero iniziato che percorre la via del Divino.
Succintamente la mitologia greca narra che dall'amore di Zeus e di Semele, nacque un fanciullo bellissimo di nome Dioniso, che suscitò le invidie e l'ira di Era, la moglie di Zeus, la quale sobillò i Titani, suoi servitori, a compiere atroce scempio di questa vivente manifestazione del tradimento del suo celeste compagno. I Titani, i figli della terra che non aveva conosciuto gli Dei, con dei regali traggono in inganno Dioniso, lo imprigionano, e ognuno di loro ne mangia le carni. Solo il cuore si salva, grazie alla dea Atena, che lo porta a Zeus. Il Padre degli dei inghiotte il cuore del figlio defunto, e genera da Semele un nuovo Dioniso, poi la sua vendetta colpisce i Titani: li fulmina, incenerendoli. Dalle polveri dei Titani, in virtuÌ€ dell'essenza nobilitatrice di Dioniso, nasce il genere umano.
"Lì (...) accanto al tripode sacro sul quale la Pizia si sedeva per pronunciare suoi oracoli, si trovava uno strano oggetto - una sorta di bara o di urna cineraria che recava un'iscrizione, "Qui giace il corpo di Dioniso, figlio di Semele" (Walter Pater - Greek Essays)
E' sempre bene ricordare come i riti legati alla figura di Dioniso, e all'Orfismo in genere, afferivano ad un complesso cerimoniale, iniziatico e magico parallelo e secante la religione pubblica, certamente non alla portata di tutti. Solo nella fase di decadenza dell'Impero Romano, le iniziazioni divennero virtuali e aperte; e tale profanizzazione, ieri così come oggi, ne ha portato all'essicamento.
ATTORNO AL MITO DI DIONISO E AL PASTO SACRO
Possiamo vedere nella carne e nel sangue di questo dio-fanciullo, un elemento trasmutativo della forza bruta rappresentata dai Titani, esseri che appartengono ad un mondo precedente al Cosmo degli Dei Olimpici. I secondi rappresentano gli ideali e i tipi di uomo archetipali, che si incarnano costantemente nell'umanità; mentre i primi afferiscano ad un mondo non governato dalla ragione, dal bello, e dall'ispirazione celeste, bensì dagli agiti, dagli atavisimi, dalle pulsioni irrazionali e viscerali.
E' per mezzo di queste chiavi di lettura simbolica, che è necessario leggere la morte di Dioniso; una morte trasmutativa, e nobilitante, in quanto è la causa prima con cui si pone in moto il processo che porterà alla nascita di un'umanità di ispirazione celeste.
Trattasi in realtà di un'operazione di alchimia interiore, dove l'uomo bruto, l'uomo-inferiore, fa proprio il corpo e il sangue della divinità (comunione eucaristica). Ciò non avviene attraverso il semplice possesso, ma bensì legandosi ad essa in modo indissolubile, tramite un pasto sacro. Viene così dato inizio ad un processo irreversibile, elettrico (psichico) ed igneo (elemento di trasmutazione del quaternario). L'alimentazione porta a confondere, a rendere cosa unica colui che è alimentato, con ciò di cui si alimenta. La saggezza popolare ricorda che siamo ciò che mangiamo, in quanto ogni impressione e ogni alimento sono dissolti in un flusso biochimico e biomeccanico, e vanno a comporre il nostro corpo fisico, psicologico ed emotivo. Nel caso specifico siamo in presenza di un pasto sacro, in quanto ciò che è alimento è la carne e il sangue di un Dio (o meglio, fuori da una visione religiosa, di un elemento divino: qui Dioniso, così come il Cristo all'interno dell'eucaristia cattolica...)
Cosa mai sono i Titani se non degli uomini offuscati dalla brutalità, dagli agiti, dagli atavismi (preda dei suggerimenti passionali ed iracondi di Hera? Degli uomini allo stato basilare, primordiale, completamente soggiogati dalle forze della natura, completa espressione della bassa polarità, automi e agenti degli atavismi primordiali, le potenti forze occulte del quaternario? Essi sono liberati dall'ingestione della carne di Dioniso e dal fulmine di Zeus; certamente non sono ancora Dei (solo all'uomo poeta o campione è dato di sedersi a fianco delle divinità, come immortale; ma pur sempre uomo esso deve essere), ma sicuramente è data loro la scelta di guardare verso le stelle (rispettare gli dei), oppure tradire gli dei (per precipitare nuovamente in uno stato di barbarie).
Questa umanità in potenza, è in completa balia degli elementali non rettificati del quaternario, della loro forza e della loro volontà tesa a possedere, ad assimilare, ad irrompere in ogni spazio esistente: è proprio questa la forza del piano vitale, la sua meccanica intelligenza, la sua ferrea volontà espansiva.
In ambito magico è bene sempre ricordare che ogni istanza magica portata sul quaternario, avviene sempre e comunque tramite l'ausilio e l'intercessione di un elemento divino, o superiore.
Qui l'elemento divino è duplice in quanto si compone della sostanza di Dioniso, e della folgore di Zeus; il loro connubio pone fine, tramite liberazione, all'asservimento elementale. Tale evento ricorda molto, a suggerire l'esistenza di una tradizione ignea comune, il detto buddista di "bruciare le radici dell'ego", oppure la prima fase dell'Opera al Nero, dove l'adepto agisce proprio tramite quelle forze che poi saranno rettificate, e ricondotte ad un processo superiore.
Altro elemento di riflessione attorno al mito di Dioniso è rappresentato dallo strumento di giustizia divina. I Titani non sono colpiti da una lancia, o da una spada, e neppure da una freccia, bensì da un fulmine. Colpire attraverso un' arma è un'azione meccanica, che da fuori penetra negli organi vitali, rompendo l'involucro. Il fulmine invece irrompe senza ledere l'involucro. Dall'azione elettrica del fulmine, si determina l'azione IGNEA (INRI) che porta alla trasmutazione, alla riduzione in polvere dei Titani, da cui nasce la semenza umana.
Anche nella tradizione cabalistica la creazione è frutto di un fulmine, di luce e pneuma che attraversano, incessantemente, tutto l'albero sephirotico: trattasi di quel dinamismo spirituale, di quella forza elettrodebole che tutto trattiene; senza la quale niente è.
DIONISO E PROMETEO
Alcune volte il mito di Dioniso è rapportato a quello di Prometeo; a mio modesto avviso vi sono molte più dissonanze che assonanze in questi due eventi mitologici.
Prometeo come sappiamo ruba il fuoco (simbolo di conoscenza), e viene per questo incatenato fra le rocce di un picco montano. Per punizione le sue viscere vengono divorate dai rapaci; per aumentare il dolore della pena esse si riformano in continuazione. Ovviamente anche qui abbiamo una ricca simbologia (la punizione del quaternario, il fuoco e la conoscenza, le catene dell'elemento materiale, le forze cieche della natura, ecc...), come nel mito di Dioniso, ma ritengo che gli elementi comuni abbiano qui a terminare, lasciando il campo alla diversa impostazione e finalità di questi lasciti mitologici.
La differenza del mito di Prometeo con quello di Dioniso risiede nella funzione trasmutativa. Dioniso viene assimilato dai Titani, e in virtuÌ€ di tale evento si genera un processo di mutamento interiore degli stessi. Così non è per Prometeo che si "limita" a portare una conoscenza comunque esterna e sè stesso, e agli uomini stessi. Possedere non è essere, il fenomeno non è la causa, e la foglia nonè la radice della pianta. Così come il mito di Prometeo può solamente seguire e non precedere quello di Dioniso. In quanto è solamente dopo la scintilla divina, il pneuma gnostico, il seme solare, che l'umanità ha la possibilità di godere della conoscenza del fuoco stesso.
Ecco adesso un altro detto Alchemico: solamente possedendo l'oro, è possibile produrre l'oro.
Indubbiamente un elemento di similitudine è rappresentato dalla meccanicità di Zeus (sia nei confronti di Dioniso che di Prometeo), che apparentemente opposta è invece eguale a se stessa nella linearità che le da forza. Zeus rappresenta un ente superiore, che interviene e governa a prescindere dalle altrui volontà, irrompendo violentemente nel mondo degli uomini e degli dei a lui sottoposti.
In chiave operativa il carico simbolico portato dal mito di Dioniso, e quello portato dal mito di Prometeo, possono e debbono trovare giusta simbiosi e collocazione. Una circolarizzazione operativa, che vede sia la via dell'Essere, sia la via delle Attribuzioni dell'Essere. La prima risiede nel cuore di Dioniso, la seconda nelle viscere di Prometeo.
di Filippo Goti